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L’Amleto senza parole di Opera e il corpo sonoro di Masque Teatro

Non c’è neppure un verso dell’Amleto di Shakespeare eppure se ne riconoscono immediatamente situazioni e, più significativamente, umori e pensieri, emozioni e riflessioni. La scorsa settimana Amanda è stata al Teatro dell’Arte di Milano (ex CRT) per assistere a XX, XY, lo spettacolo-installazione-performance che Vincenzo Schino e la sua affiatata compagnia Opera hanno tratto dalla tragedia shakespeariana. Ci sono segni ingombranti e fortemente pregnanti – una scultura che il performer e scenografo Emiliano Austeri realizza sulla scena – e ci sono movimenti e immagini, ma anche una musica evocativa e insolita e voci registrate di un uomo e una donna dalla forte inflessione dialettale. E c’è il pubblico, invitato nella prima parte dello spettacolo a muoversi liberamente per lo spazio scenico, assecondando curiosità e percorsi emotivi affatto personali ovvero lasciandosi guidare dolcemente dalla performer Marta Bichisao, che con discrezione pedina e accerchia gli spettatori, avvolgendoli in coreografie astratte e variate. E, come accennato, neanche una parola di Shakespeare, la cui acuta dissezione dell’animo umano, nondimeno, percorre tutta la performance, avvolgendo e ammutolendo il pubblico. Uno spettacolo da vedere, cui Amanda ha assistito dopo aver partecipato al “concerto” per pianoforte e corpo umano orchestrato da Masque Teatro. Il corpo nudo di una donna rannicchiato su uno stretto lettino e un maestoso pianoforte a coda: il movimento ora ieratico ora testardo della performer genera il suono così che questo giunge  a perdere la sua astratta inconsistenza per acquisire carnale pregnanza. Just intonation – questo il titolo del lavoro della compagnia forlivese – è uno spettacolo di levigata eleganza e non velleitariamente concettuale eppure concluso in se stesso, senza quel reale sviluppo drammaturgico che gli avrebbe consentito di sviare l’insidiosa trappola dell’esercizio di stile.

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Just intonation, di Lorenzo Bazzocchi, con Eleonora Sedioli, Masque Teatro; XX, XY Primo studio sulla tragedia di Amleto, regia di Vincenzo Schino, drammaturgia di Letizia Buoso, con Marta Bichisao ed Emiliano Austeri, Opera; visti al Teatro dell’Arte di Milano il 6 novembre 2013.       

I tanti volti della violenza al festival delle colline torinesi

In questi giorni Amanda sta seguendo il Festival delle Colline Torinesi, giunto alla “maggiore d’età”, ossia alla sua XVIII edizione. La rassegna è stata inaugurata sabato 1 giugno da Poco lontano da qui, lo spettacolo che due signore della scena “sperimentale” italiana, due esponenti di quella Romagna felix che ha in parte plasmato il panorama nostrano, hanno dedicato a Rosa Luxemburg. Ermanna Montanari e Chiara Guidi – anime, rispettivamente, del Teatro delle Albe e della Socìetas Raffaello Sanzio – costruiscono un rigoroso e ipnotico microcosmo attorno a due lettere, una scritta dalla stessa Luxemburg, l’altra di critica alla riflessione e alle azioni della politica tedesca,  uccisa nel 1919 durante le proteste successive alla sconfitta nella Prima Guerra mondiale e al complesso passaggio dall’impero alla repubblica di Weimar. In realtà, della biografia e del pensiero della Luxemburg non rimane molto in questo spettacolo che, fatto principalmente di suoni e immagini, suggestioni ed evocazioni, è in primo luogo un’elegante e formalmente impeccabile meditazione sulla violenza che scorre – più o meno sotterranea – in tutti i legami interpersonali, pubblici e privati. Una violenza che è ritratta anche in Imitationofdeath, del duo Ricci&Forte: sedici giovani interpreti che in scena mettono a nudo corpo e anima, per ritrarre la morte che avvolge e deturpa l’esistenza e per muoversi alla ricerca di una, forse impossibile, innocenza. E, ancora, di violenza tratta Invidiatemi come io ho invidiato voi, il testo scritto, diretto e interpretato – con altri sei efficaci attori – da Tindaro Granata: partendo da un fatto di cronaca accaduto qualche anno fa a Perugia, un terribile caso di pedofilia consumato con la – forse – inconsapevole complicità della madre della piccola vittima, l’autore traccia un ritratto niente affatto consolante della nostra tentennante moralità. Granata evita qualsiasi impostazione manichea – da una parte i buoni e dall’altra i cattivi – per individuare con surreale implacabilità le colpe e le meschinerie che si annidano in ognuno. FibreParallele©LUIGI LASELVA

E di colpe – e soprattutto di punizioni – tratta l’ultima fatica di Fibre Parallele, Lo splendore dei supplizi: in quattro “quadri”, quattro differenti situazioni e altrettante tipologie umane, Licia Lanera e Riccardo Spagnulo mettono in scena i supplizi del presente, non inflitti da un boia davanti a un pubblico, su una piazza cittadina, bensì nel segreto delle nostre abitazioni, nascosti ma non meno devastanti e disumanizzanti. Un supplizio terribile e prolungato è quello subito da Dvori, la protagonista della pièce dell’israeliana Edna Mazya messa brillantemente in scena dalla compagnia di Bucarest ACT: con un allestimento semplicissimo, il regista Bobi Pricop e i suoi cinque bravissimi interpreti ricostruiscono uno stupro di gruppo ai danni di una quattordicenne e il processo che ne seguì. Gli attori impersonano sia i giovani colpevoli e la ragazza violata, sia gli avvocati difensori e la procuratrice, suggerendo come la giustizia, anziché garantire oggettività, riproduca dinamiche, sentimenti, auto-assoluzioni affatto individuali.  Jocuri curtea in spate

Di sopraffazione e obliterazione della giustizia tratta anche lo spettacolo degli Anagoor, L.I. Lingua Imperi: il potere impedisce la parola ed è esso stesso afono, gli sono sufficienti atti e gesti per esercitare il proprio dominio. L’intenso e rigoroso lavoro della compagnia veneta parte dal tema della caccia per riflettere sulla prevaricazione dell’uomo sul proprio simile, ridotto ad animale, e per rivendicare la necessità di restituire finalmente la parola alle vittime, sovente dimenticate anche dalla storia. E un invito ad ascoltare gli echi del passato e a soffermarsi sulle emozioni del presente è quello che anima Eco, l’installazione/performance ideata e realizzata dalla compagnia Opera: lo spettatore osserva, ascolta, crea percorsi di fruizione e di creazione del senso affatto individuali, e apprezza la natura pur sempre teatrale del lavoro, guidato dai movimenti della performer Marta Bichisao e della conturbante marionetta che incombe dall’alto.     

l i lingua imperii