Capita di rado, oramai, di assistere a messe in scena imponenti e curate nei minimi dettagli, animate da una dozzina di attori almeno e dalla durata superiore alle tre ore. Spettacoli che soltanto un teatro stabile – e, in alcuni casi, l’unione di più teatri stabili – può produrre. In pochi giorni ad Amanda è successo di assistere a due allestimenti del genere: Celestina con la regia di Luca Ronconi e I pilastri della società, diretto e interpretato da Gabriele Lavia. Il primo porta sul palcoscenico la riscrittura moderna, compiuta da Michel Garneau, della tragicommedia tardo quattrocentesca dello spagnolo Fernando de Rojas: un amaro affresco di una società priva di valori, percorsa da uomini e donne tutti ugualmente intenti a soddisfare i propri bisogni e, nondimeno, costantemente frustati e insoddisfatti. Un’ansia di piacere e di benessere – sessuale, economico, e fino spirituale – che non trova requie e accompagna a conseguenze inevitabilmente tragiche. Una società che, al contrario, si vanta dei propri “pilastri” – o “colonne”, come viene a volte tradotto il titolo originale – morali è quella al centro del dramma di Ibsen. Ma, a ben vedere, menzogna e interessi personali muovono le azioni dell’ottocentesco e nordico console Karsten Berrick tanto quanto quelle della mezzana Celestina. E così, latitudini geografiche e temporali assai lontane sono avvicinate da uno sguardo analogamente scettico e amaramente satirico sulla natura umana, tutt’altro che incline al bene. Questa considerazione, ovviamente, non annulla le differenze di linguaggio non soltanto fra i due testi ma altresì fra le due impostazioni registiche. Luca Ronconi ambienta il dramma su un palcoscenico-trappola sul quale si aprono porte e botole ovvero si innalzano e abbassano scale, una “scatola” scenica forse macchinosa ma esemplare nel suggerire la tortuosità dei meccanismi di convivenza umana, fra desiderio predatorio e necessità di sopravvivenza. Il regista, poi, compendia nell’allestimento stilemi compositivi e recitativi che ne hanno fin qui contraddistinto il particolare vocabolario, bene assecondato dai bravi attori, fra i quali spicca Maria Paiato, una Celestina adeguatamente “bassa” e meschina, abbruttita e determinata. Altrettanto coeso è il nutrito cast de I pilastri della società, guidato dallo stesso Gabriele Lavia, interprete del protagonista. La regia è salda e corale, sceglie i movimenti ampi e un’austera solennità che non cede neppure nei frangenti più intimistici. Una tonalità coerente al contesto e al contenuto del dramma – forse il più “contemporaneo” di Ibsen – e capace, proprio per la sua formale perfezione, di svelare quegli “slittamenti” da una retta condotta che, paradossalmente, garantiscono la indiscussa rispettabilità del console Berrick.
Celestina, di Michel Garneau, regia di Luca Ronconi, visto al teatro Strehler di Milano il 23 febbraio 2014.
I pilastri della società, di Henrik Ibsen, regia di Gabriele Lavia, visto al teatro Carignano di Torino il 26 febbraio 2014.
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